15 aprile 2001 LORENZO LUZZO, DON PARENTI, UNA ROLLEICORD E LI "LEINA" DEL '51
Mi ricordo... 
sì, mi ricordo molto bene cosa mi è accaduto nel 1951, l’anno delle valanghe a Livigno. E per ripescare nell’archivio dei miei ricordi è bastato andare a visitare la mostra allestita appunto a Livigno per commemorare il cinquantenario di questa tragedia. Ma le cose non sono andate proprio come il mio compianto amico Bruno Roghi ha descritto nel suo articolo pubblicato da Epoca. Fatta salva la fantasia di un giornalista-scrittore bravissimo e celebre come Roghi, ecco come si sono svolti i fatti. Segnalazione alla Publifoto, dove allora lavoravo: una valanga a Livigno, sette o nove vittime. Correre subito, allora. Col mio amico e collega Silvano Lucca (chissà se è ancora vivo), a bordo della potente Alfa 2300, via di corsa alla volta della Valtellina. Arrivati a Semogo, la gente del luogo ci ha informato che sul Foscagno c’erano dieci metri di neve e non dovevamo nemmeno sognare di andarci con la macchina (allora non esistevano frese e simili). Una soluzione, ci hanno suggerito, sarebbe stata quella di salire al lago di Cancano e, da lì, andare per la Valpisella a Trepalle e poi... Allora, di corsa a Rasin a chiedere l’autorizzazione a salire a Cancano con una teleferica da brividi. Frenetiche telefonate a Milano, firme per assumere responsabilità e via su quella piattina che ci conteneva appena. Una paura folle, trecento metri di abisso sotto; infine eccoci a Cancano. Poi a piedi verso Digapoli, da dove - si credeva - saremmo partiti per Trepalle. Arrivati a Digapoli il buon Rebuffetti, capo cantiere della Castiglioni, ci ospitò generosamente. E lì cercammo di organizzare la traversata. Ci facemmo prestare gli sci dai finanzieri, proprio da quel Rocca che sarebbe perito l’anno seguente sotto una valanga. Quando i “canarini” ci videro armeggiare con gli sci ci proibirono di muoverci (e ne avevano ragione: non sapevamo sciare). Ancora Rebuffetti ci venne incontro: “C’è un mio ragazzo che alla fine della settimana va a casa a Trepalle attraverso la Valpisella. Lì c’è un prete, Don Parenti, che ha fatto tutto, la scuola, l’asilo, la luce, l’acqua, saprà ben fare delle fotografie, no?”. Era l’unica carta che avremmo potuto giocare e affidammo al ragazzo una Rolleicord con quattro rulli. “E che Dio ce la mandi buona” abbiamo pensato. Dopo due giorni il giovanotto rientrò in cantiere col Rollei, i quattro rulli e un pochino di sigarette (allora fumavo...). Saluti e abbracci, ringraziamenti e via verso Rasin, Bormio, Milano. Alle quattro di mattina avevamo messo in sviluppo i rulli e mentalmente pregavamo che quel prete... Bravo, caro Don Parenti! Portate le fotografie a Epoca, il direttore Renzo Segala chiese al mio principale che mi aveva accompagnato (il servizio era molto importante) se si poteva “mettere giù due righe di racconto”, per permettere a Bruno Roghi di scrivere un bel “pezzo”. Il mio principale fece osservare al direttore che non solo io avevo vissuto di persona la vicenda ma che ero anche giornalista. Ma Segala, scusandosi, affermò che Epoca aveva il dovere di mettere una firma celebre. Quando portai le due o tre cartelle di “cronaca”, il buon Bruno mi chiese (e si chiese) stupito: “Ma perché non te lo fanno fare a te, il servizio?” “Semplice - risposi io - perché non mi chiamo Bruno Roghi”...
LORENZO LUZZU
[ConteaRivista] - [Anno X] - [numero01]